Dibattiti politici a Ferrara

La dinamica autoritaria. Internazionale a Ferrara 2018, foto di Massimo Predieri

Uno dei temi più caldi dell’attualità politica, “La dinamica autoritaria”, era il titolo di uno dei dibattiti che si sono tenuti al festival Internazionale a Ferrara. L’argomento ha suscitato un forte interesse e un forte coinvolgimento nel folto pubblico, in gran part giovanile, convenuto a Ferrara per la tre giorni di giornalismo internazionale.

Tra gli invitati al dibattito sono stati soprattutto l’europarlamentare Elly Schlein e l’economista Fabrizio Barca a scaldare il pubblico, meritandosi lunghi applausi durante i loro interventi. E’ stato un dibattito politico appassionato, fuori dai ridondanti schemi di appartenenze e dei pettegolezzi sugli intrighi di corte.

Fabrizio Barca del Forum disuguaglianze diversità ha individuato nelle crescenti disuguaglianze le origini della dinamica autoritaria che si sta diffondendo in occidente e in tutto il mondo. Una spaccatura della società che avviene su tre livelli: economico, sociale e lavorativo. La concentrazione di autoritarismo e populismo nelle aree geografiche delle disuguaglianze sono evidenti quando si analizza la distribuzione dei voti alle elezioni politiche.

Elly Schlein, europarlamentare Possibile, ha individuato nella mancata integrazione sociale a livello europeo la causa più importante delle difficoltà che l’Unione Europea sta attraversando. La deriva nazionalista e lo spostamento verso i partiti di destra sono il sintomo della crescente fragilità delle fasce più deboli della società. Elly Schlein ammonisce tuttavia che è necessario voltare il dito accusatore di questo fenomeno dal basso verso l’alto. E’ stata la cecità delle politiche di austerity ad alimentare il crescente rancore verso le istituzioni europee.

L’alternativa proposta da Elly Schlein è il reperimento di maggiori risorse per una politica sociale europea. Tra le fonti di queste maggiori risorse ha indicato la progressione fiscale, le tasse sull’inquinamento e la trasparenza sui profitti per combattere l’elusione fiscale.

Il festival ferrarese si è chiuso con il dibattito “Lo stato finzione” a cui hanno partecipato lo scrittore britannico Rana Dasgupta, la scrittrice croata Slavenka Drakulić, la politologa tedesca Ulrike Guérot, il giornalista austrico Martin Pollack, e moderato dal direttore di RadioTre Marino Sinibaldi.

Rana Dasgupta ha pubblicato recentemente un saggio dal titolo eloquente “La fine degli stati”, in cui segnala la “fine dello stato nazione”, di creazione tutta europea, esportato poi nel resto del mondo.  La decadenza politica e morale, e il declino dell’autorità politica nazionale, spodestata dall’integrazione finanziaria e tecnologica globale, hanno riportato “in voga una strana forma di nazionalismo apocalittico”.

Dasgupta segnala la centralità della questione della cittadinanza nel sistema integrato globale, una cittadinanza che definisce i benefici dell’individuo a prescindere dalle sue appartenenze o provenienze, e avverte che non si può tornare indietro verso un ordinamento di suddivisione in stati nazione.

Slavenka Drakulić ha fatto notare la diversità del nazionalismo balcanico rispetto a quello dell’Europa. Le guerre balcaniche a seguito della dissoluzione della Jugoslavia dimostrano che il nazionalismo è un virus dormiente. Per risvegliarlo e sfruttarlo politicamente deve essere adeguatamente preparato. Il nazionalismo, tuttavia, è basato sulla paura e sulle emozioni: alla fine finisce inevitabilmente fuori controllo. Infatti, chi aveva alimentato il fuoco nazionalista nei Balcani non aveva previsto lo scoppio della guerra, che ha portato alla tragica devastazione del territorio e ricondotto la popolazione in uno stato di miseria e privazione.

La politologa Ulrike Guérot ha ricordato di essere cresciuta in uno stato che si chiamava Repubblica Federale Tedesca, e del suo straniamento dopo la riunificazione, quando il nome della sua patria, diventando Germania, ha preso un significato diverso. Ulrike Guérot fa notare come la prima mossa del primo ministro ungherese Orban nel 2010 sia stata proprio quella di cambiare il nome del paese da Repubblica d’Ungheria a Ungheria, per ribadire il significato di appartenenze etnica della sua popolazione. Un significato diverso da quello di appartenenza a una nazione, che corrisponde ad avere gli stessi diritti civili. Anche la bandiera nazionale può evocare significati diversi: una componente civile e una etnica. Per il futuro, Ulrike Guérot auspica la creazione di una Repubblica Europea che consenta alle popolazioni che la compongono di mantenere le identità particolari, ma che offra gli stessi diritti civili a tutti i suoi cittadini.

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